INTERVENTO DI VITO GAMBERALE SUL SISTEMA CARCERARIO ITALIANO

La vita carceraria non può essere nella stanza ma deve appartenere alla società” – Prof. Carmelo Cantone

Quella che segue è una trascrizione dell’intervento dell’Ing. Vito Gamberale, in occasione del Seminario “Il Senso della Pena. Ad un anno dalla sentenza Torreggiani della Corte EDU”, svoltosi presso la Casa Circondariale di Rebibbia il 30 maggio 2014.

Gamberale ha preso parte in particolare ad una tavola rotonda pomeridiana, alla quale è stato invitato ad intervenire con una riflessione sul lavoro e sull’importanza che esso può svolgere nel percorso di reintegrazione sociale dei detenuti.

Dopo una prima analisi statistica del sistema carcerario nazionale, basata su un raffronto con le realtà dei principali Paesi europei, Vito Gamberale ha ricordato le occasioni della sua carriera manageriale che lo hanno portato a collaborare con istituiti penitenziali, al fine di permettere a detenuti di affacciarsi al lavoro nel mondo esterno.

Gamberale ha poi chiuso il proprio intervento con alcune proposte per il sistema carcerario, sottolineando l’importanza del lavoro nella riduzione della percentuale di recidive da parte degli ex detenuti e nella loro reintegrazione nella vita sociale.

VITO GAMBERALE:

La popolazione carceraria italiana, secondo le statistiche, è costituita da sessantamila unità, con una distribuzione pari a cento detenuti ogni centomila abitanti. In linea con la Francia, la Germania a settantotto, la Spagna a 144 e l’Inghilterra 150 detenuti su centomila abitanti, l’Italia, come popolazione carceraria, non rappresenta il paese con il maggiore tasso di detenuti.

Se vediamo l’evoluzione della popolazione carceraria nell’ultimo decennio, è possibile notare che in tutti i paesi europei mediamente è cresciuta dall’1 al 2.2%. Solamente la Germania sta avendo un continuo decremento nell’ordine del 2,3% annuo. Se poi consideriamo com’è distribuita la popolazione carceraria per fasce di età, è possibile notare che, nei paesi menzionati, la popolazione carceraria è concentra nella fascia di età lavorativa compresa tra i diciotto e i sessantacinque anni. Mediamente, le donne rappresentano il 5% della popolazione carceraria in tutti i paesi, così come la percentuale di stranieri. L’Italia, secondo le statistiche, con il 34% è il paese con la maggiore incidenza di stranieri.

Analizzando il tasso di occupazione dei detenuti a livello europeo, la Germania è l’unica nazione con una percentuale, superiore alla media europea, valutata intorno al 40%. L’Italia, con un tasso stimato al 24%, è inferiore alla media europea, il che significa che solamente il 24% di detenuti è occupato. Una valutazione più dettagliata ha mostrato che l’85% dei detenuti occupati in Italia lavora nell’ambito dell’amministrazione penitenziaria. Questo sistema d’impiego dei detenuti consente certamente una formula di lavoro e un risparmio per l’amministrazione, ma non consente una forma di lavoro normalizzata per il concetto di lavoro. Solo una parte è impiegata alle dipendenze di terzi, cioè duemilacinquecento persone: quindi solo un detenuto su sette lavora collegato con il mondo esterno.

A fine 2013, le statistiche riportano che solo poco più di duemila detenuti erano impiegati in attività extra murarie, ovvero attività che sono svolte fuori, o che le aziende organizzano all’interno delle case penali.

Quale è considerabile una buona gestione delle carceri?

L’Italia, con sessantamila detenuti, in base ai parametri riguardanti gli spazi tecnicamente richiesti, dovrebbe gestire quarantottomila carcerati, quindi c’è un tasso di occupazione del 124%, il maggiore in Europa, equiparato solo dalla Francia.

L’Italia è il secondo paese per decessi in carcere, ed è il secondo paese per tassi di suicidio, il che comporta una probabilità di suicidio maggiore nei paesi con superiore densità carceraria.

Quando si discute di spazio e di tempo in una situazione di restrizione, ritengo personalmente che si dovrebbe garantire a chi è detenuto una variazione continua del tempo e dello spazio a disposizione. Per questa ragione sono convinto che il lavoro durante la detenzione sia un ottimo strumento riabilitativo, un modo per consentire al detenuto di sentirsi legato al mondo esterno e quindi avere un tempo che si differenzia giorno per giorno, ed uno spazio che non sia unico e ripetitivo.

Come bisognerebbe aumentare il tasso di occupazione?

Recentemente ho potuto notare che per i detenuti vi è una strana situazione. I lavoratori carcerati sono conteggiati tra gli occupati. Il contrario accade per chi non lavora. I carcerati disoccupati non rientrano nel conteggio dei disoccupati. Questo perché, per essere conteggiati nei disoccupati, bisogna fare domanda all’ufficio di collocamento. Così, nel calcolo del tasso di disoccupazione, c’è un numeratore che contiene un addendo il cui corrispondente non è contenuto nel denominatore.

ESPERIENZE DI COLLABORAZIONE DI VITO GAMBERALE CON ISTITUTI PENITENZIARI

Nel corso delle diverse esperienze nel ruolo di manager, ho più volte stretto collaborazioni con le carceri, per favorire l’integrazione tra la società e il detenuto. Tra le diverse iniziative, nel 1998, nel ruolo di Amministratore Delegato di Tim, decisi di creare un centro di lavoro a San Vittore con il Dott. Pagano ed uno a Rebibbia con il Dott. Di Rienzo. Poi nel 2005, presso Autostrade, in collaborazione con il Dott. Cantone, decidemmo di avviare un centro di lavoro a Rebibbia, impegnato nella gestione delle sanzioni ed elaborazione dati.

Nel 2006, con il Dott. Pagano, fu realizzato un altro progetto, mirato all’inserimento di detenuti all’interno di Autostrade. Per l’occasione, incontrai una persona la cui storia m’impressionò molto: un giovane, coinvolto precedentemente in una storia più grossa di lui, con una pena di 28 anni. Il ragazzo, tuttora assunto presso Autostrade, ormai prossimo alla fine pena, è ampiamente inserito in azienda.

Viste le esperienze nel ruolo di manager aziendale, le proposte da realizzare non devono essere esperienze traducibili in medaglie per l’azienda ma processi di reinserimento. Una soluzione è rappresentata dall’inserimento dei detenuti all’interno delle categorie protette. Se in un’azienda, per esempio, al raggiungimento della prima soglia tra 15 e 35 dipendenti è obbligatorio assumere personale proveniente dalle categorie protette, sono propenso a offrire all’azienda la possibilità di scegliere anche la categoria dei detenuti. La legge Smuraglia potrebbe essere raffinata, creando l’obbligatorietà verso la società a considerare che ci sia una popolazione di detenuti, popolazione che costituisce parte della società in un periodo di limitazione. La società deve accogliere il detenuto nel periodo in cui sta scontando la pena, perché una volta scontata la pena, è normale appartenere alla società. Ecco, questo è il messaggio che voglio lasciare, perché come diceva il Dott. Cantone, la vita carceraria non può essere nella stanza ma deve appartenere alla società.

Ai seguenti link è possibile visualizzare alcuni filmati relativi all’intervento di Vito Gamberale:

https://www.youtube.com/watch?v=5shg8ESzoXE

https://www.youtube.com/watch?v=vA5dnj4972o

https://www.youtube.com/watch?v=mxxqQBMhX0Q

INTERVENTO DI VITO GAMBERALE SUL SISTEMA CARCERARIO ITALIANOultima modifica: 2014-05-20T18:38:11+02:00da vitogamberale
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